trasferimento in campagna

trasferimento in campagna

trasferimento in campagna

7

Il disagio degli ospiti non sfugge a Mariangela che, una mattina, confida a Francesca che a lei dispiace di vederli sempre taciturni e tristi e che li sente spesso parlare a bassavoce. Sapendo che l’origine di questo stato d’animo è la presenza continua dei tedeschi, anche in casa, propone al marito di trasferirsi in un vicino podere, dove certamente avranno meno soldati tra i piedi.
Vincenzino, interpellato, si dimostra consenziente. Vuole fare del suo meglio per la sicurezza di tutti. Non dimentica che è stato lui a proporre Pulcherini come luogo sicuro dai bombardamenti, almeno da quelli tedeschi, proprio perché invasa dai loro soldati. Il povero Vincenzino non ha mai pensato che, dopo l’armistizio, la guerra potesse evolversi diversamente dal previsto, in seguito ad alleanze inaspettate. E’ anche vero che se ha offerto la sua casa è perché i Tedeschi hanno intimato alla popolazione di Scauri di arretrare verso le colline retrostanti la zona costiera. E Pulcherini è in quella posizione.
Dopo una rapidissima consultazione, fatta soprattutto di sguardi, si giunge alla conclusione di trasferirsi in campagna. Questa volta è più facile impacchettare le proprie cose perché non c’è da decidere su cosa portarsi dietro. Solo Alfonso subisce un forte trauma rendendosi conto che lì, dove stanno per andare, la radio non potrà mai ascoltarla perché non c’è l’elettricità. La nasconde dentro un armadio e fa fatica a non commuoversi. Per gli altri, invece, va tutto liscio.
All’alba del giorno dopo, un manipolo di persone, composto da donne, vecchi e bambini, si sposta in processione verso la campagna, in località denominata Pisciavino. Camminano in silenzio con la speranza di non essere notati dalle pattuglie di soldati. Gli uomini trasportano i fardelli sulle spalle; le donne, invece, hanno messo tutto in capaci canestri e, come è loro costume, si sono caricate il peso sulla testa.  
Dopo poco giungono al podere dove trovano un vecchio casolare che sarà la loro nuova dimora. Quel casolare, fino ad allora, è servito a Mariangela e a Vincenzino come deposito per gli attrezzi e per tenere qualche capo di bestiame. C’è un ampio locale, con il pavimento in terra battuta, coperto da un tetto con tegole talmente sconnesse da lasciare spazi abbastanza grandi da permettere ai piccioni di entrare e uscire a piacimento. Su un lato c’è un camino, usato per affumicare le salsicce, al quale è stata adattata una cappa mobile, di metallo, maldestramente sagomata per convogliare il fumo verso lo spazio lasciato da una tegola rimossa, da dove si farà strada, innalzandosi.
Su questo stanzone accedono due piccoli locali che fungono da deposito temporaneo per semi e raccolti.
Poco distante c’è la stalla, che ancora ospita qualche capo di bestiame, un pozzo e un pagliaio.
Per il resto il casolare è sprovvisto di tutto.
Mo’ amma mette cacche tecola ‘ncoppa alla copellata sinnò ce chiove ‘ncapo e amma fa ‘nu cesso!” decidono gli uomini, dopo aver guardato intorno.
Si armano di scale, vanghe e pale, queste non mancano, e si mettono al lavoro.
Vicenzì” chiede Alfonso “ma ce sta cacche tecola p’aggiustà la copellata?”
“Me crero proprio de no.”
“E caccosa pe chiure almeno gli buchi chiù grosse, sinno’ gli picciuni ce cacono ‘ncapo?”
“Pe’ primo facete gliu cesso, che è chiù necessario. La copellata po’ aspettà fino a dimani.” consiglia Caterina, che già sente il bisogno di appartarsi.
Così cominciano a scavare a una trentina di metri di distanza, dopo aver calcolato anche come, di solito, tira il vento.
Quando la buca ha una certa larghezza e profondità vi sistemano due assi, di traverso, per poggiare i piedi. Fatta questa fatica stanno per tornarsene ma Caterina, che controlla sempre tutto, li rimbrotta:                  
E gliu lassate accussì gliu cessu?”
“E c’at’ amma fa?” chiedono loro.
“Almeno ce volete mette ne po’ de canne attorno a chigliu fosso?” suggerisce Caterina “o amma mostrà gli curi all’aria?”
Caterina non si fa scrupolo di usare certe espressioni. Alfonso e Vincenzino riconoscono che ha ragione e così la buca viene protetta da canne, di quelle ancora verdi con foglie, a tutela della riservatezza dei fruitori di quella improvvisata toilette.
“Vagliù” dice Caterina ai bambini “non ve pulizzate co’ le foglie delle canne, cà tagliano e manco co’ chelle de ficu, ca ‘ngennono. Stateve accorto sinnò so cazzi voste.”
Molto esplicita, come sempre, Caterina avverte che la scelta delle foglie da adibire a carta igienica, deve essere oculata per evitare conseguenze fastidiose. Dimentica che sta parlando a persone avvezze a prodotti alternativi alla carta igienica, praticamente inesistente in paese.
C’è anche chi non ha ancora il gabinetto in casa. Le foglie sono senz’altro più igieniche, perché monouso, a confronto degli indecorosi sistemi ai quali si è costretti in queste circostanze, quando si abita in paese.
Inoltre Caterina mostra il pozzo e un vecchio secchio, attaccato a una carrucola, e qui finisce il comfort dei servizi igienici.
Ormai Caterina ha preso in mano la situazione e passa a dare disposizioni anche per organizzarsi per la notte.
Decidono di utilizzare i due locali piccoli, una volta liberati dagli ingombri, per far dormire i più vecchi e i bambini. Gli altri dormiranno nello stanzone.
Tutti eseguono gli ordini impartiti da Caterina, la quale dispone anche che i pochi letti che hanno portato da Pulcherini, bisogna assegnarli ai bambini perché ci dormono in due e alle persone anziane e ironizza sul fatto che, facendoli dormire per terra, non potrebbero farli alzare la mattina perché non hanno una gru.
Inoltre Caterina suggerisce di far ricorso al pagliaio per sostituire i materassi.
Nessuno avrebbe gradito dormire sulla nuda terra e, così, l’ultimo consiglio di Caterina viene subito accolto e ognuno si organizza per attrezzarsi un pagliericcio.

Catarì” dice Alfonso, in vena di buon umore “me pozzo croca’ ‘nzema co’ te?”
“Viri a do’ aia ì’, vecchio ‘nzallanuto! Marià, damme cacche pezza cà occhio che no vede e core che n’addesidera. ‘Nze po’ mai sapè che gli passa pe’ la capo a chissi.”
Così, per evitare pensieri lussuriosi e anche per avere un minimo di libertà, le donne legano delle funicelle a dei chiodi, infissi nelle pareti, e vi appendono degli ex-lenzuoli di misto-lino che hanno conosciuto tempi migliori ma che, oramai, possono vantare soltanto rattoppi fatti ad arte, su un tessuto liso da anni di impiego in diversi ruoli, ultimo dei quali la raccolta del grano, battuto sull’aia, o attività affini.
Comincia una nuova vita, tra mille difficoltà ma con tanto spirito di adattamento e senza lamenti.
Ognuno ha un suo compito da svolgere e si cerca di collaborare in tutto. Si zappa l’orto, si allevano i polli, si mungono le capre. Si può dire che in quelle precarie circostanze ci siano anche momenti belli, specialmente la sera, quando tutti si raccolgono intorno al camino e i bambini si contendono un pezzetto del lungo sgabello posto davanti al focolare. Matilde è la più piccola della comitiva e riesce sempre ad avere la meglio, protetta un po’ dagli adulti, tra le proteste degli altri bambini che si lamentano per questa preferenza. Vicino al fuoco ci si affumica, si prepara la cena e si chiacchiera degli ultimi avvenimenti, sempre tragici, ma ci si è abituati anche a questo.
Ate scoperto caccosa de novo?”domanda Vincenzino.
E da chi? ‘cà ‘n’arriva nisciuno e niènte. Manco gli’aradiu pozzo sintì cchiù pecché gli’aggio lassatu agli Purgarini” si lamenta Alfonso “Ogni tanto se sente sparà ma chi lo sa do’ sparono? Chisà le case noste se ce stanno ancora a Traetto!”
“Mo’ amma sulo penzà a salvà la pella. Si campamo, le case ce le facemo ‘nata vota” commenta Vincenzo il calzolaio.
E ci’hai ragione, cumpà, magnamo, che è meglio!”
E si consolano con abbondanti libagioni come mai ricordano che sia stato, neanche a Natale e a Pasqua. Pertanto, malgrado tutte le restrizioni, in quel casolare, la vita scorre abbastanza bene. Il ritrovarsi in compagnia predispone all’allegria, e la pancia piena gioca la sua parte.
L’abbondanza sulle loro tavole dipende dal fatto che tutti i contadini, sparsi nelle campagne circostanti, sapendo che il loro bestiame e le provviste di ogni genere presto sarebbero state sequestrate dai soldati per il loro vettovagliamento, hanno concordato di macellare, a turno, vitelli, maiali, polli e conigli e di distribuirseli tra loro così da avere sempre cibo fresco.
Così, anche al podere di Pisciavino vengono ammazzati polli, conigli e il resto. Vincenzino e Mariangela decidono, con il consenso di tutti, di tenere soltanto delle galline per le uova e un paio di capre per il latte. Lasciano anche una coppia di conigli perché prolificano spesso e abbondantemente.
Gli uomini non si preoccupano eccessivamente per il futuro ma le donne hanno paura al pensiero che il cibo potrebbe finire presto e non avrebbero come sfamare i bambini.
Il commento degli uomini è:
Appresso Dio provvede, ‘adda fini’ ‘sta guerra.”
Tutti sperano che questo accada ma una mattina Vincenzino avverte che nessuno ha più bestie da ammazzare, ovvero arriva la notizia che il cibo è finito, come temevano le donne .
Ma …  la guerra continua.