convivere coon la guerra

convivere coon la guerra

convivere con la guerra

9

 

Da qualche giorno serpeggia, anche per le campagne, la notizia che gli Americani stanno risalendo l’Italia facendo retrocedere i Tedeschi e sono ormai vicini. Sono dall’altra parte del Garigliano. Non si sa con precisione dove siano arrivati ma la liberazione non dovrebbe tardare molto.
Il fiume è un grosso ostacolo che gli alleati hanno già tentato di superare senza successo perché i Tedeschi hanno concentrato le loro forze lungo la Linea Gustav, che dalla foce del Garigliano passa per Minturno e frazioni, continua raggiungendo Cassino e dintorni e prosegue fini all’Adriatico, vicino a Pescara.
Lì, a Pulcherini, un giorno hanno saputo da alcuni soldati rientrati in paese che il 10 settembre, quando sui Minturnesi sono arrivate le prime sporadiche bombe Cassino è stata massacrata dagli anglo-americani. La stessa sorte è toccata ai paesi della bassa Ciociaria, situati tra Minturno e Cassino. Alle domande dei poveracci di Pulcherini sul perché gli alleati si comportassero così i soldati hanno spiegato che il loro obiettivo era aprire un varco per Roma e la via Casilina era proprio la strada che più si adattava a questo scopo.
Nel casolare stanno riflettendo proprio su questa situazione quando ad Alfonso viene un pensiero funesto:
e se invece della Casilina decidono de sceglie l’Appia?”
La paura li assale e già si vedono massacrati dalle bombe come lo è stata Cassino.
I poveri cristi non riescono a immaginare che cosa potrebbe succedere da un momento all’altro, sentendo sul collo il fiato della distruzione.
Malgrado l’angoscia sanno di non poter fare altro che attendere lo sviluppo dgli eventi e cambiano discorso. 
Si sono abituati a trattenere la curiosità, le proprie emozioni e a non stupirsi più di niente. Continuano a vivere le loro giornate e le loro nottate come un dono di Dio.
Tra le tante chiacchiere che si fanno ce n’è una in particolare che colpisce Rosa, del gruppo di Scauri, perché non sa spiegarsela ed è quella della gomma da masticare.
Mazzecono la gomma! Che schifezza! e pecché la mazzecono?”
Questa ingenua osservazione di Rosa viene accolta da una risata generale che fa capire, alla poverina, che l’ha detta grossa e diventa rossa per l’imbarazzo. Però non si vuole dare per vinta e guardando tutti, con il naso per aria, dice:
Vui rirete, manco fussite tutti ‘struiti” e con un’alzata di spalle, sempre con il naso all’aria, se ne va verso il camino ad attizzare il fuoco. Poi si gira di scatto e chiede:
Visto che vui sete accussì ‘nteliggenti, pecchè non me dicete com’è la gomma che se mazzeca?
Non è come la gomma della scola. Sarà differente!” ridacchia Caterina.
“Sarà? Allora manco tu lo sai com’è e allora pecchè riri? Anzi, mo’ che ce penso, manco Alfonzo ha risposto a ‘ Nunziata quanno ce l’ha spiato, iterza”

In verità non hanno mai visto una stecca di chewing gum e non riescono a spiegare a Rosa come sia la gomma da masticare, anche se non confessano di essere altrettanto incuriositi. Non ricevendo risposta Rosa si sente riscattata dalla brutta figura di prima.
Chisà se la carne in scatola è come chella degli tedeschi!”
“ Mah! Chisà!”
“Chisà quanno arrivano!”

“Chisà!”

Si sogna la libertà, si sospira e si continua con una sfilza di chissà!
In attesa della liberazione i paesani si arrangiano con una nuova, interessante occupazione. Da un po’ di tempo accade che i treni provenienti dal sud non vengono fatti transitare oltre la stazione di Minturno.
Appena si diffonde la voce di un treno bloccato, si raccoglie una folla proveniente da case e nascondigli per andare a svaligiare il treno. Ovviamente evitano la stazione perché è sorvegliata dai soldati ma il treno è lungo e loro sanno dove possono calarsi per rifornirsi.
I saccheggi vengono fatti sempre di notte e, al buio, non c’è modo di esaminare la merce. Ognuno arraffa quanto capita sotto mano e  senza sapere di che si tratta. Lo sapranno soltanto quando saranno tornati a casa.
Una notte si ritrovano davanti a delle casse estremamente pesanti e chiuse saldamente Nessuno riesce a intuirne il contenuto. Sono talmente pesanti che non possono portarle né a spalla né sulla testa e passanovoce per cercare una carretta.
Prendono quante più casse possono e se ne tornano a casa.
Una volta al sicuro, come sempre, si radunano tutti intorno al bottino per scoprirne il contenuto, sognando di trovare cibo e vestiario e, perché no, visto che pesano tanto, anche qualche arnese da lavoro.
Alfonso ha un bel da fare vicino a quelle casse aiutandosi con i suoi attrezzi.
Tutti sono lì a trafficare e finalmente riescono ad aprirne una:
“Ma cheste so’ bombe a mano!”
“Uh, maronna! tutta sta fatica pe’ niènte”

“Amma ringrazià la madonna che non so scoppate pe la via sinno finisciavamo cornuti e mazziati.”
“E mo’ che ce facemo?”

“I’ lo sapesse che ce volesse fa”
risponde Alfonso ispirato “ma nze po’. E’ meglio che l’annasconnemo, ‘ca si le vedono gli tedeschi ci’accirono de corsa.”
E così, mettendo da parte l’impulso a ribellarsi, le bombe a mano vengono depositate in uno stagno poco distante, sperando che calate nell’acqua non facciano danno.
Qualche tempo dopo capita un carico di formaggini. E’ un alimento nuovo, non lo conoscono ma mangiano anche quello, sorridendo davanti a quel cibo molliccio. E’ strano per i loro denti, abituati al pane duro, anche di quindici giorni, ingoiare senza masticare.
La vita, ormai, trascorre nell’incertezza e nella preoccupazione di un domani quanto mai precario e, questa nuova fonte di sostentamento, la fa diventare meno insopportabile. Tutti sanno, comunque, che ogni momento è buono per distruggere la loro quotidianità. Ringraziare il Signore, per la giornata o per la nottata concessa, non è una formalità da catechismo ma è quanto nasce spontaneamente dal cuore di ognuno di loro.
I più frastornati, in questa situazione anomala, sono i bambini. Non giocano più, non possono muoversi dal casolare perché in giro si spara, non possono saltare perché i grandi sono nervosi, non vanno a scuola perché non c’è più scuola, non hanno da mangiare, non sorridono. Hanno dimenticato i capricci. Hanno paura.
Matilde, più degli altri, è terrorizzata. Si porta dentro un autentico terrore da quando, una sera, per la prima volta, a Pulcherini arrivarono a cena dei soldati tedeschi. La mamma si accorse subito del disagio della bimba, ammutolita di colpo, che andò a nascondersi sotto il tavolo. E continuò a nascondersi non appena sulla porta si affacciava una divisa. La mamma aveva cercato  di tranquillizzarla, ma invano. Matilde, più che dalla divisa, era spaventata dal loro modo di parlare. Non li capiva e non si fidava.
Non si era mai fidata, neanche quando i rapporti tra i civili e i soldati erano improntati a reciproca tolleranza. Non si era mai lasciata allettare dalle scatolette di carne o dal pane nero che portavano per mangiarlo insieme a loro. Né aveva voluto vedere la foto di una bambina tedesca che aveva la sua età. Non riusciva a dimenticare il dottore e la moglie crivellati a quel modo.
Non riesce ad abituarsi agli uomini armati che usano i fucili  come se fossero giocattoli. La sua giovanissima età non le permette di avere consapevolezza di alleanze, tregue e strategie di vario genere, pertanto, nella sua ottica, chi ha il fucile spara e chi spara è cattivo. La bambina prova rabbia. Rabbia per quegli adulti che hanno permesso ai cattivi di sedersi al loro tavolo.
E’ piccola, le sfuggono le sfumature, non conosce i compromessi, il suo mondo è in bianco e nero e i Tedeschi sono neri.