dimensione donna: la casalinga
Filtrando attraverso gli scuri, lasciati socchiusi la sera prima, la luce andò a posarsi sul viso di Ada che aprì gli occhi con un certo disappunto. Aprì prima l’occhio sinistro, quello sano, e poi il destro perché, da quando glielo avevano operato, difettava nella lacrimazione e se lo apriva di scatto le dava un po’ di fastidio. Allungò prima un piede e poi l’altro fuori dalle coperte, facendo attenzione a non svegliare Tommy. Nei primi anni di matrimonio era stata attenta a non svegliarlo perché desiderava proteggere il suo riposo. Ci teneva a che potesse andare ben rinfrancato al lavoro. Ora le cose erano un po’ cambiate, stava attenta non tanto per proteggere il suo sonno ma perché le piaceva gustarsi la pace del silenzio mattutino fino all’istante della sveglia collettiva che coinvolgeva anche i bambini.
Una scena questa che si ripeteva ogni mattina, da ben dieci anni, proprio come ogni sera, sempre da dieci anni, Ada si riprometteva che sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe lasciato gli scuri socchiusi. Era arcistufa di alzarsi sempre presto ma c’era da supporre che quella litania sarebbe durata ancora e ancora!
Intanto si apprestava a iniziare la sua giornata.
Si infilò le ciabatte di panno color grigio topo, bruttissime, che aveva comprato al mercatino giù all’angolo e che aveva scelto di quel colore per evitare che si vedessero subito le chiazze di sporco. Non che avesse intenzione di non lavarle ma dovevano durare il più a lungo possibile e un colore chiaro di certo non si adattava allo scopo. Coprì il pigiama color ciclamino con una vestaglia di un marroncino stinto, anche questo scelto per lo stesso motivo di cui sopra e se ne andò in cucina.
Si preparò al rito del caffè, senza il quale la giornata non avrebbe mai potuto avere un inizio positivo. Prese la Bialetti da tre tazze, la riempì a cumulo perché il caffè le piaceva bello carico e la mise sul fuoco. Si sedette e, con gli occhi socchiusi, aspettò che la macchinetta finisse di gorgogliare. Se ne versò abbondantemente lasciando il resto per il latte della colazione.
Gustato il caffè fino all’ultima goccia finì il rituale con un’annusatina alla tazza ormai vuota. Come le piaceva quell’aroma che persisteva e che voleva catturare prima di deporre la tazzina nell’acquaio!
Non aveva più scuse, ora doveva cominciare la sua giornata di lavoro, anzi di non lavoro. Già, proprio così, perché a sentire la stragrande maggioranza delle persone, essere casalinga significava semplicemente starsene in casa, al riparo dal freddo dell’inverno e dall’afa estiva. Sembrava quasi che le casalinghe trascorressero il loro tempo standosene comodamente sdraiate a sventolarsi o a leggere giornalini di gossip, bevendo bibite fresche e mangiando patatine. In altri termini “a grattarsi”, come si soleva sentire in giro.
Anche se la pensava in modo diametralmente opposto, generalmente si lasciava scivolare addosso questo tipo di discorsi quando venivano fatti in sua presenza ma se si trovava in una delle sue giornate NO andava letteralmente in bestia, e allora se la prendeva con tutti, innanzitutto con suo marito il quale sosteneva con convinzione che lo stato di casalinga era un privilegio e che solo i buoni mariti permettevano alle mogli di goderne.
… e intanto LUI, mentre lei era già in piedi da più di un’ora, ancora se la dormiva della grossa. Per svegliarsi aspettava il caffè che LEI gli avrebbe portato a letto.
Ada glielo portava, puntualmente, alle sette e venti. Un po’ cominciava a provare un senso di fastidio per questo gesto gentile, che quando aveva la luna storta le sembrava una sottomissione da schiava, ma continuava a farlo perché approfittava per prenderne ancora un po’, la mattina le serviva una buona carica di energia. Ormai era diventata un’abitudine irrinunciabile e, anche se si stava imbarcando in una giornata negativa, avrebbe rispettato le sue abitudini da caffeinomane.
Intanto, non potendo sbraitare contro nessuno, se la prendeva con i panni che stava stirando, sbattendo il ferro con foga e spruzzando tanto di quel vapore cocente da volerli bruciare vivi.
Si arrabbiava anche con se stessa perché si era lasciata convincere da Tommy a lasciare il suo lavoro part-time di maestra d’asilo. Le sembrò giusto, al momento in cui ne parlarono, che sarebbe stato più opportuno che lei si fosse dedicata completamente ai loro bambini, invece di pensare ai figli degli altri trascurando i propri. Che stupida era stata e Ada, a questo pensiero, scagliò una maglietta appena stirata verso la porta, in direzione della camera da letto, come a voler colpire Tommy … che intanto dormiva.
Al momento della decisione non aveva considerato che quel piccolo introito le avrebbe dato la libertà di comprarsi un paio di calze senza dover rendere conto al marito su come spendeva i soldi che lui le dava. Forse non avrebbe neanche comprato quelle pantofole grigie, così tristi che riflettevano il suo stato d’animo, perennemente imbronciato. Non aveva intuito il maschilismo di fondo del suo compagno e quando lo capì non poté più tornare indietro.
Il guaito del cane , un bastardino di nome Fuffy, la distrasse da questi pensieri e la costrinse a vestirsi perché doveva portarlo fuori. Si infilò un paio di jeans e una Tshirt, si tolse quelle pantofole che non si potevano proprio guardare sostituendole con un paio di Nike e si fece i tre piani di scale con il cane al guinzaglio e la paletta in una busta di plastica. Lo seguì mentre cercava l’albero preferito. Fuffy, per fortuna, era abbastanza veloce nel soddisfare le sue esigenze e, così, ben presto fecero il percorso inverso. Le scale questa volta erano da salire e le tornò l’umor nero che aveva lasciato sul ferro da stiro prima di uscire. Lei era affezionata al cagnolino però si infuriava con Tommy perché quando lo aveva portato a casa aveva promesso che ne avrebbe avuto cura lui ma le sue cure si limitavano a una carezza prima di andare al lavoro e quattro moine, in risposta a quelle del cane, la sera al rientro.
Ritornata in cucina mise su di nuovo la moka perché era quasi ora per la sveglia di Tommy e doveva anche preparare la colazione per i bambini che da lì a poco si sarebbero svegliati.
Tommy lavorava presso lo studio di un commercialista. Non aveva mai potuto avviare un’attività tutta sua perché non aveva mai terminato gli studi. Prima che in ufficio si attrezzassero con i computer, il suo impegno consisteva nel ricopiare in bella il lavoro altrui, ovviamente doveva fare attenzione perché con i numeri era facile sbagliare e poi la responsabilità sarebbe andata a cadere sul suo datore di lavoro. Ora, però, il lavoro d’inserimento dati era diventato più agevole ma lui non faceva che ripetere quanta abilità fosse necessaria per quel lavoro e quanta fatica gli costasse il tutto. Era facile intuire come, la sera, quando tornava a casa, tutti dovevano rispettare il suo sacrosanto relax standosene in religioso silenzio mentre lui, sdraiato sul divano, guardava il notiziario TV o leggeva il giornale o meglio leggeva qualche articolo che non aveva fatto in tempo a leggere in ufficio. Particolare questo che faceva intuire ad Ada che, in fondo, il ragioniere Tommy aveva i suoi momenti di pausa, più o meno lunghi, durante l’orario di lavoro, cosa che invece non si poteva dire di lei durante la sua giornata di non lavoro.
Ada non ci provava proprio più a fargli presente che anche lei era stanca di tutto il carico che una casa, due bambini e un marito comportavano ma la risposta di Tommy era sempre la stessa. Era convinto che una casalinga dovesse sentire il suo ruolo come una missione e portarlo avanti con gioia, allegria, serenità e fantasia ringraziando il marito per tutto ciò invece di lamentarsi continuamente dando ascolto a quelle quattro scalmanate di femministe che dovevano il loro comportamento al fatto che non avevano un uomo che le strapazzasse a letto.
Ecco, quando le diceva così lo odiava. Odiava perfino il ridicolo nome che la sua mamma aveva preferito al ben più imponente Tommaso. Forse pensava che quel figlio sarebbe sempre rimasto un fantolino grazioso di tre chili e mezzo, invece ora non era più fantolino e neanche troppo grazioso però si ritrovava a ricordare uno dei tre porcellini che, se Ada ricordava bene, erano Jimmy, Timmy e Tommy.
Provava un istinto irrefrenabile che l’avrebbe spinta ad abbandonare tutto e tutti per correre in piazza a sostenere la causa delle migliaia di povere schiave trattate come serve senza salario ma non faceva niente di tutto ciò e sapeva che non l’avrebbe mai fatto perché, malgrado i suoi sfoghi, ci teneva ad accudire la sua famiglia, marito compreso…
Così continuava a trascorrere le sue giornate ciabattando per casa in quelle tremende pantofole grigie sulle quali, malgrado i suoi sforzi a non sporcarle, si vedevano delle macchie scure.
Lavava, spazzava, stirava, cucinava, faceva la spesa, rigovernava, seguiva i bambini in tutte le loro attività e via di seguito, senza sosta, senza compagnia alcuna, sempre in attesa del rientro a casa dei figli e del marito e, intanto, pensava, quanto pensava!
Pensava di tutto e di più e i suoi pensieri volavano lontano, si intrecciavano tra di loro in infinite divagazioni, si ingarbugliavano e le rodevano l’anima.
Rimpiangeva la vita allegra di quando era una ragazza spensierata e poteva riunirsi con le amiche chiacchierando e ridendo per ore.
Ora era sola, ma proprio sola, e non avendo un interlocutore con cui parlare si era abituata a non formulare frasi complete, tanto lei si capiva senza esplicitare l’intero pensiero. Non si era accorta di questa tendenza che stava radicandosi nella sua mente sempre di più fino a pochi giorni prima quando, trovandosi a parlare con delle persone giù al mercato, si era resa conto di aver contribuito alla conversazione soltanto con dei monosillabi, come se non avesse avuto niente da dire sull’argomento discusso, mentre invece dentro di lei c’era una marea di riflessioni che aspettavano solo di essere tirate fuori, le aveva pensate ma non le aveva dette agli altri … e nessuno l’aveva capita nel suo silenzio.
La constatazione di questa sua nuova dimensione l’aveva gettata nello sconforto e non riusciva a capacitarsene. Si stava facendo strada una paura terribile, quella dell’isolamento mentale, oltre a quello fisico dal resto del mondo.
In fondo, a ben pensarci, come si svolgeva la sua vita? Cosa faceva oltre ai suoi gioiosi doveri di casalinga?
Assolutamente niente. Mai una passeggiata con il marito, mai una serata al ristorante, mai un cinema, mai una volta a ballare, cosa che da ragazza aveva fatto spessissimo. Quando si era sposata aveva cambiato città e, oltre ad aver rinunciato al suo lavoro, aveva perso i contatti con gli amici di gioventù. Avevano provato a crearsi una nuova cerchia da frequentare ma l’arrivo dei bambini non aveva permesso di consolidare le nuove conoscenze e così, erano rimasti Tommy e lei, in una città vastissima fatta di sconosciuti.
A differenza di lei Tommy aveva l’ufficio e, così, il contatto con i colleghi di lavoro che, nel bene e nel male, gli allargavano l’orizzonte.
Ma lei?
Si rese conto che le sue relazioni sociali si limitavano alla signora Lella che gestiva un negozietto sotto casa nel quale comprava latte, pane e qualcosa che dimenticava di acquistare al supermercato. Giovanni, il fruttivendolo, e il macellaio del quale non sapeva neanche il nome. Scambiava qualche parola con gli insegnanti dei bambini, con il dottore quando portava i bambini a controllo. E poi? Più niente, neanche il conforto di scambiare quattro chiacchiere con i vicini di casa perché in città non era come nel suo paese di provenienza, dove tutti si conoscevano.
Se avesse continuato ad andare avanti così cosa ne sarebbe stato di lei?
Non voleva assolutamente finire come tante casalinghe depresse che vanno avanti con flaconi di pillole. Non voleva diventare una casalinga frustrata ma si rendeva conto di essere sulla buona strada.
Un no sempre più imperioso le rimbombava nel cervello ma cosa poteva fare per sfuggire a quella morsa invisibile che la stringeva con forza?
Come interrompere la devastante solitudine nella quale sprofondava ogni giorno di più?
Se solo avesse avuto la possibilità di comunicare con qualcuno forse avrebbe trovato più facilmente la soluzione alla natura del suo disagio. Lei si sentiva una nullità, si sentiva come il robot di un film visto anni prima, il cui titolo, le sembrava di ricordare, fosse “Io e Caterina” buono solo per tenere la casa in ordine e soddisfare le esigenze di tutta la famiglia.
Tommy era così autoritario che decideva tutto da solo, neanche le chiedeva un parere quando c’era da prendere una decisione importante e se lei si lamentava lui rispondeva che non voleva darle problemi. Questo la offendeva, si sentiva umiliata e triste e allora diventava cattiva e gli rinfacciava di averla quasi costretta a rinunciare al suo lavoro. Lavoro che lui non aveva mai apprezzato più di tanto e, allora, nei momenti peggiori Ada gli faceva anche presente che mettere in fila una serie di numeri scritti dagli altri non richiedeva una grossa intelligenza e, forse, era più impegnativo far quadrare il bilancio d casa, dati i tempi che vedevano i prezzi sempre in ascesa e gli stipendi sempre uguali.
Non avrebbe voluto mortificarlo ma se almeno avesse riconosciuto che farle lasciare il lavoro era stato uno sbaglio.
Quando si sentiva disprezzato in quel modo Tommy s’infuriava, sbatteva la porta e andava chissà dove e chissà da chi e rientrava solo a tarda ora.
Purtroppo queste sfuriate cominciavano ad accadere troppo spesso e Ada era consapevole che non avrebbero portato nulla di positivo anzi, vedeva già il dramma di una separazione, i bambini sbatacchiati tra la mamma e il papà e tutto il resto che ne sarebbe derivato.
A questo punto aveva bisogno di riflettere e ponderare sul da farsi. Fece un lungo esame di coscienza, non pensò soltanto ai lati negativi del carattere di Tommy ma cominciò da quelle che potevano essere proprio le sue responsabilità. Prese addirittura una matita e un foglio e fece lo schema della bilancia a due piatti, scrivendo da una parte i pro e da un’altra i contro di una eventuale separazione. Scrisse anche da una parte i pregi e dall’altra i difetti sia di Tommy sia suoi. Alla fine si rese conto che la bilancia non si spostava granché né di qua né di là.
A questo punto prese una grossa decisione: stabilì che bisognava cambiare e che non sarebbe stato saggio aspettare che fosse Tommy a cambiare. Con il senso pratico che contraddistingue le donne decise che avrebbe operato il cambiamento su di lei, sperando di poter modificare, indirettamente, anche alcuni atteggiamenti di Tommy.
Finalmente dopo dieci anni avrebbe cambiato vita.
Non avrebbe sradicato tutte le loro abitudini, l’aspetto essenziale della loro esistenza, con qualche piccola modifica, poteva starle anche bene. Avrebbe agito sulle minuzie, almeno per cominciare.
Le cose meno importanti venivano sempre trascurate perché considerate una ad una rivelavano tutta la loro apparente banalità ma tante inezie, messe nello stesso calderone avrebbero avuto il loro peso. Ada si ricordò che la nonna, nel suo dialetto, diceva sempre che “cento poche accirero nu ciuccio” ovvero tanti piccolissimi pesi, messi insieme, riuscirono a sfiancare un somaro.
Con questo pensiero in testa preparò il caffè per Tommy e glielo portò, ma fu l’ultimo. Ecco la prima inezia da eliminare. Il suo piano stava per cominciare.
Continuò come ogni mattina fino a che il marito e i figli uscirono. Il primo andò al suo tran tran in ufficio e i bambini a scuola. Poi si vestì, uscì per la spesa ma non andò soltanto al mercato. Entrò in una profumeria, scelse un rossetto e delle creme, comprò un paio di pantaloni nuovi e una bella maglietta, prese un appuntamento dal parrucchiere e dall’estetista e … comprò un paio di pantofole di pelle color amaranto e una vestaglia intonata.
Continuò la sua giornata dando priorità alle faccende più urgenti senza l’affanno di dover finire tutto prima di sera. A pranzo, invece di mangiare un panino di corsa, si sedette a tavola e si preparò una ricca insalata. Si concesse anche una lunga pausa caffè e, sdraiata in poltrona, guardò la puntata di Centrovetrine, la sua soap preferita, senza perdersi una battuta e senza sbrigare contemporaneamente qualche faccenda.
Se lo sentiva che sarebbe riuscita nel suo intento. Voleva diventare una casalinga part-time e per l’altra parte una donna.
Tra i primi obiettivi c’era trovare un lavoro, magari qualcosa che la impegnasse non più di mezza giornata. Commessa in un negozio poteva andar bene perché non richiedeva una preparazione specifica e poteva stare a contatto con tante persone. Voleva parlare e scambiare idee e opinioni. Non aveva bisogno di grandi cose, desiderava soltanto non lasciarsi sopraffare dalla solitudine. Non cercava affetti, questi per fortuna già li aveva. Cercava solo un contatto fisico con il mondo esterno, estraneo alle sue pareti domestiche, convinta che, se avesse sottratto un po’ di tempo alla casa e alla famiglia ne avrebbe saputo apprezzare di più le gioie.
Per Ada, allo stato attuale delle cose, la casa era diventata una prigione che la faceva sentire una sepolta viva e la famiglia la causa di tutto ciò. Giurò a se stessa che sarebbe uscita da questa situazione e avrebbe creato le condizioni per cui il rientro a casa sarebbe stato un momento gioioso per tutta la famiglia.
In preda all’euforia prese il telefono e chiamò Giovanna, una sua ex collega nonché amica d’infanzia, comunicandole il suo intento ma dall’altra parte della cornetta non sentì l’entusiasmo che si aspettava. Giovanna laconicamente le disse di lasciare le cose come stavano perché le donne avevano addosso il loro destino dalla nascita e sarebbero rimaste casalinghe per sempre, ad eccezione di quelle che avevano tanti di quei soldi che le faccende le lasciavano sbrigare alla servitù. Giovanna fece capire ad Ada che andare a lavorare fuori comportava un doppio lavoro e non la soluzione ai problemi della casalinga, perciò sarebbe stato meglio, sempre secondo Giovanna, accontentarsi di partorire con gran dolore, come raccontava il Vangelo senza accollarsi anche il carico di lavorare con gran sudore.
Ada posò la cornetta come se avesse avuto una botta in testa ma non per questo smise di fantasticare e progettare. Giustificò l’atteggiamento dell’amica pensando che forse si trovava in un periodo particolarmente stressante ma, di sicuro, non poteva essere quello il suo reale pensiero. Giovanna parlava come tutte le donne che avevano un lavoro e, al tempo stesso, portavano avanti una famiglia.
La sua amica usciva di casa la mattina e non sapeva cosa fosse il silenzio dentro le quattro mura e con il silenzio la solitudine. Ore interminabili da far scorrere senza scambiare una parola con nessuno. Il televisore sempre acceso ma non ascoltato e la frenesia dalla quale si era lasciata prendere nel disbrigo delle faccende domestiche pur di non fermarsi e realizzare che era sola.
Si era pentita moltissimo di aver iscritto i bambini al tempo pieno a scuola. Se non lo avesse fatto sarebbe stata da sola soltanto mezza giornata e forse le cose sarebbero andate meglio, però la sua non era stata una scelta vera e propria, era stata costretta a iscriverli al tempo pieno perché, soltanto così facendo, avrebbe avuto il pulmino per portarli a scuola e riportarli a casa. La scuola era abbastanza lontana per raggiungerla a piedi, lei non aveva una macchina, i mezzi pubblici circolavano poco per quella strada di periferia e Tommy andava per tutt’altra strada.
Così Ada, che da ragazza aveva avuto liti furibonde con le sorelle perché recalcitrava di fronte a qualsiasi faccenda domestica ora, suo malgrado, si ritrovava a lustrare pavimenti, lavare tende e via di seguito, senza smettere mai, pur di non accorgersi di essere sola. Sola dalla mattina alla sera, per tutti i giorni della settimana, per tutti i mesi dell’anno, per tutti gli anni da quando si era sposata.
Ada, sgomenta, si sentiva come se si fosse trovata su una canoa in procinto di affrontare delle rapide. Sballottata dalle sue fantasie di qua e di là trascorse la sua ennesima giornata di casalinga doc.
Quando Tommy rientrò dal lavoro Ada gli sedette accanto, sul divano. Lui ne rimase un po’ sorpreso ma non si interrogò sulla novità.
Cenarono e venne l’ora di andare a dormire.
Ada si avvicinò alla finestra, come faceva ogni sera da dieci anni ma, questa volta, riuscì a chiudere completamente gli scuri e predispose la sveglia per le sette e venti. Niente di eccezionale ma aveva fatto il primo passo per una sua nuova dimensione. Non si sarebbe lasciata condizionare dal pensiero di Giovanna. La riscossa sarebbe stata lenta perché voleva che fosse indolore per la sua famiglia ma nessuno l’avrebbe distolta dal suo intento.
Ora avrebbe dormito e il giorno dopo, dalla parrucchiera, avrebbe pensato a come organizzarsi meglio.
Si mise a letto e spense la luce ma non riusciva a prendere sonno. Mancava qualcosa per il giusto avvio del suo progetto “Ada, casalinga e donna” ma non capiva cosa fosse, poi realizzò. Si alzò, prese le pantofole grigie, simbolo della sua tristezza interiore, e le buttò nel secchio della spazzatura, con tutte le sue chiazze di sporco. Mise le pantofole amaranto sullo scendiletto e si rimise a letto. Chiuse gli occhi, tutti e due contemporaneamente perché per chiuderli non c’erano problemi e si addormentò felice.
La mattina dopo fece una grossa fatica a non alzarsi prima della sveglia ma resistette pur rigirandosi nella sua parte di letto. Non si lasciò tentare dal caffè mattutino e resistette anche ai guaiti di Fuffy. Anche lui si sarebbe abituato ai nuovi orari. Per alzarsi aspettò che suonasse la sveglia.
Nel trovarsela accanto, al trillo della sveglia, Tommy la guardò stupito e a bocca aperta, forse stava pregustando il suo caffè ma doveva aspettare quella mattina.
Ada si stiracchiò, guardò Tommy e gli disse:
“Caro, andiamo in cucina?”
“Ah!” rispose Tommy e, interrogandosi sulla curiosa situazione, seguì la moglie in cucina dove fu invitato a preparare il caffè mentre Ada organizzava la colazione per tutti.
Fuffy fu portato fuori mentre i bambini facevano colazione, sorvegliati da Tommy, ma Ada già sapeva che l’indomani lo avrebbe portato un pochino più tardi, cioè contemporaneamente all’uscita dei bambini, in modo da evitare di fare le scale due volte. In assoluto non si poteva considerare un grosso risparmio di tempo e di energia ma, dal punto di vista del progetto di Ada, era uno dei cento pochi tolti dalla soma del somaro e un po’ alla volta l’asinello-Ada avrebbe respirato di più e avrebbe potuto iniziare il suo riscatto come donna.
11 settembre 2008
marica riccardelli
via c. colombo 177
04026 m. di minturno (LT)