alla ricerca di notizie

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20

 

L’alba le trova ancora sveglie, hanno solo avuto qualche cedimento dovuto alla stanchezza. Non hanno continuato a parlare ma a pensare e a rigirarsi nel letto.
Appena possibile Maria Civita e Paolo scendono in strada per avere notizie mentre Francesca resta in casa con le bambine.
“Quanta gente stamatina ‘mmezo alla via” osserva Maria Civita.
“Per forza, stanotte credo che nessuno abbia potuto chiudere occhio!” le risponde Paolo e poi continua consigliando a Maria Civita di non azzardare troppo con le domande.
“Maria Civita, ti raccomando, non fare come sai fare tu che cominci a dmandare a tutti quanti cosa sia successo. Ricordati che qui non stai a Minturno. Cerca di non parlare e ascolta soltanto. Fai attenzione a quello che dici.”
“Semo arrivati che non se po’ manco parlà chiù!” risponde Maria Civita visibilmente seccata.
“Non è che non puoi parlare ma devi pesare le parole perché se qualcuno capisce fischi per fiaschi di quello che dici, ti va a denunciare alle SS e poi sono fatti tuoi. Perciò è meglio che stai zitta perché, non solo so che sei molto impulsiva ma, il tuo italiano è approssimativo ed è facile fraintenderti.”
“Aggio capito, m’aggia cusì la vocca, rapro sulo le ‘recchie. E gli’occhie gli pozzo raprì? Pozzo guardà o manco chesto”
“Sì, gli’occhie sì ma n’tè ì a ‘nfrosà do’ viri na poca de gente, scota e guarda da lontano. ‘ntè mette ‘mmezo agli ‘uai” le consiglia Paolo, rispolverando il suo dialetto per essere certo che Maria Civita abbia realmente capito.
“Io ora vado in negozio e ti lascio sola, ma ricordati che non sono pericolosi solo quelli che parlano tedesco, come dice tua nipote Matilde, ma ancora di più quelli che parlano italiano. Sono i peggiori e fanno la spia ai Tedeschi. Hai capito, stai attenta?”
“Sì aggio capito, non me lo dice chiù, mo’ m’hai stommacato!”
Paolo, dopo le ultime raccomandazioni a Maria Civita, la lascia al suo giro di perlustrazione.
Ovviamente Maria Civita comincia dai dintorni di Via Rasella, non osa andare a vedere i danni provocati dalla bomba perché c’è troppo traffico di militari e Paolo è riuscito a metterle addosso una buona dose di paura. Segue il primo gruppetto di persone che incontra e ascolta tutto quello che viene detto. Si ritrova a seguire una fiumana di gente, addolorata e silenziosa, che va a chiedere in Via Tasso che fine hanno fatto gli sventurati arrestati la sera prima. Da Via Tasso a Regina Coeli.  Raccoglie tutte le notizie che può, ha mantenuta la promessa fatta a Paolo e non ha chiesto niente a nessuno. Quando la stanchezza comincia ad assalirla fa ritorno a casa, dove Francesca è in attesa di notizie, riproponendosi di ritornare in strada dopo un breve riposo.
“Mammà, si tornata finalmente” le dice Francesca quando apre la porta “allora c’hai scoperto?”
“I’ aggio scotato no poco da ccà e no poco da là, n’aggio spiato niènte a nisciuno pecchè Paolo m’ha fatto na capo come a nu pallone e m’ha fatto mette paura de domandà. Mò te racconto tutto. La bomba l’hanno messa dento na carretta della munnezza che steva a Via Rasella. L’hanno messa là pecchè, da no po’ de tempo e sempe alla stessa ora, pe’ chella strada passavano gli cami tedeschi” racconta Maria Civita “e l’hanno fatta scoppà quanno gli cami so arrivati. Po’ hanno pure ittato certe bombe a mano. E’ succeso gliu finimunno.”
Maria Civita si accalora nel racconto, come se avesse assistito di persona alla scena. E continua:
“Gli tedeschi hanno cominciato a spara’ come a dannati alle fineste degli palazzi là attorno, se pensavano che le bombe erano venute dalle fineste. E’ arrivato subito nu pezzo grosso tedesco e quanno ha visto tutti chigli sordati morte, e ati maleridotti, ha cominciato a strillà, a scatenarese, ieva annanzi, ieva arreto, voleva accire subito tutti chigli che già avevano arrestato, po’ voleva fa’ zompà all’aria tutti gli palazzi là attorno. S’ è misso pure a chiagne per gli sordati sii.”
“Bel coraggio piangere quando si ammazza la gente continuamente senza nessun motivo. Però se ha pianto per i suoi vuol dire che in fondo in fondo ha un’anima” commenta Francesca.
“Intanto” continua Maria Civita “appena è scoppata la bomba e prima che arrivava gliu pezzo grosso, hanno subito arrestato la gente delle case de chella via. Hanno guardato pe’ tutte le parti, ‘nze so scordati manco nu sgabbuzzino. Hanno fatto scegne tutti chigli poveri cristiani mezo alla via, po’ gli hanno portati a Via Quatto Fontane e gli hanno missi tutti in fila, ‘nnanzi alla cancellata de Palazzo Barberini. Le femmene l’hanno mannate alla casa ma gli ommene no e ‘nze sa che fine hanno fatta.”
“Poveracci, e po’ ch’è succeso?. Erano assai?” chiede Francesca
“ No’ saccio , comunque già iere sera gli morte tedeschi erano 26, perciò de sicuro ce ne stevano 260 de italiani, ma de sicuro ne pigliano ancora, perché almeno sei feriti stevono mal’appagliati. Secondo chi gli ha visti, a stamatina ‘nc’arrivavano. Mo’ me magno nu voccone, m’arriposo cinco minuti e scenno n’ata vota. ‘Nce resisto ‘ccà dento. Nce pozzo pensà che dento oggi accirono tutta chella gente.”
“Che tragedia!”
“Me venesse la voglia de gl’impiccà a sti cornuti de tedeschi.”
“Non farti sentire, per carità, manca solo che qualcuno cominci a sospettare che noi facciamo parte di quelli che vogliono distruggere i Tedeschi. Già ci fanno controlli per vedere se nascondiamo ebrei. Se sentono che vuoi impiccare i Tedeschi sarebbe la fine.”
Mangiato un frugale boccone e messasi un po’ sul letto per riposare, ma senza risultato, Maria Civita decide di tornare in strada per scoprire dell’altro. Francesca resta con le bambine e con i suoi pensieri.