sembrerebbe un giorno di festa

 

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Un’altra alba è spuntata senza portare novità. Tutto, da due giorni, ruota intorno ai bombardamenti. Il punto di ritrovo è sempre Piazza Portauova e l’argomento di conversazione per adulti, bambini, istruiti e ignoranti non cambia.
Alfonso è continuamente sotto interrogatorio. La sua reticenza nel rispondere viene interpretata come se si rifiutasse di svelare verità segrete e non come l’estremo tentativo di far dimenticare che possiede una radio. Non ha potuto fare a meno, comunque, di rivelare che durante l’estate, appena trascorsa, gli Americani hanno bombardato Roma due volte e che bombardano dappertutto nel tentativo di scacciare i Tedeschi dalle zone occupate. Fa vedere anche un pezzetto di giornale, avuto per caso, con un articolo sul secondo bombardamento avvenuto in Agosto.
Naturalmente lo deve anche leggere per quelli che non sanno farlo.
Le idee sono molto confuse, così, ognuno se ne fa una propria, sostenendola come l’unica giusta.  Non manca il sapientone di turno che vuole convincere gli altri ad accettare la sua teoria.
Ma i’ me crero ca si volevano sgancià l’ate bombe, l’avrieno sganciate tutte ‘nzema. Pecché anna vinì dì’ vote?“ Gennaro, tutto tronfio e con l’occhietto furbo, esprime il suo parere mentre si arriccia un baffetto con il pollice e l’indice e si guarda intorno compiaciuto, attendendo l’approvazione degli altri. E’ convinto di essere il solo  ad aver  capito come effettivamente stanno le cose e continua dicendo:
Po’ pure esse’ che a nui non c’attoccono cchiù le bombe!”
Ma che stai a dice, strunzu! te criri ‘ca so pìnole?” lo apostrofa Francesco che solleva un coro di risatine.
Gennaro dapprima è sorpreso, poi sconcertato e, dall’espressione dei presenti, si rende conto di aver detto una grossa stupidaggine. Sgonfiatosi di botto, mogio mogio, si va a sedere su una panca dell’osteria di Vincenzo, soprannominato “Pecceteglio”.
Vece’, damme nu bicchiero de vino, ca chissi m’hanno fatto ‘ncazzà” e lo guarda negli occhi sperando in un filino di solidarietà da parte di lui, solidarietà che non arriva.
In attesa del vino continua a fissare, senza vederlo, il tavolo di legno unto e bisunto sul quale gli uomini del paese, da anni, mangiano, bevono e giocano a carte. Mentre con un dito ridisegna i cerchi che marchiano il tavolo gli arriva la voce di Francesco che incalza:
Fai bòno, bivi, accussì t’addurmi e no dici ate strunzate.”
Episodi del genere spezzano un po’ la tensione ma incoraggiano anche a sfornare fantasticherie, tra le più assurde. Si cercano mille giustificazioni per illudersi che il peggio sia passato ma, in verità, c’è soltanto una certezza: la vita tranquilla del piccolo paese di contadini e pescatori, da sempre scandita secondo certi ritmi, è ormai fortemente compromessa e dve esere abbandonata.
I contadini, abituati ad andare a letto al calar del sole e a lasciare il paese all’alba, non vanno più a lavorare nei campi e passano la giornata gironzolando per il paese, chiacchierando di qua e di là e ripetendo sempre le stesse cose.  I pescatori, abituati a svolgere il loro lavoro di notte e a dormire di giorno, non se la sentono di dormire mentre tutti progettano la fuga e così, anche loro sono in giro per il paese. Strano a dirsi ma sembrerebbe un giorno di festa se non fosse per l’espressione preoccupata che si legge nello sguardo di tutti. Da questa atmosfera insolita i bambini traggono una grossa occasione di divertimento e continuano a scorazzare, euforici, per le vie del paese.
I pochi negozietti esistenti restano aperti più per abitudine che per offrire la loro malinconica mercanzia ad ancor più malinconici acquirenti. Spesso vengono lasciati incustoditi perché anche i loro padroni cedono alla tentazione di mischiarsi agli altri. In casa non resiste nessuno, sono tutti per strada a fare crocchio. Si ha bisogno di sentirsi uniti, di consultarsi per quella decisione troppo grande da prendere ma si ragiona alla cieca, cioè solo su supposizioni. Succede qualcosa di estremamente interessante che solo momenti “speciali” possono determinare. Si vedono a braccetto alcuni paesani, in lite da anni per rivalità di confini, ma in questa occasione si sentono, almeno in teoria, “tutti per uno e uno per tutti”, salvo poi a pensare innanzitutto a se stessi, alla prima occasione di reale pericolo.
Viene invasa anche la Loggia del Paradiso, dove in genere sostano solo le autorità.
Ammirano il magnifico panorama che abbraccia tutto il golfo di Gaeta. Vincenzino e Giuseppe sono lì, osservano con attenzione e commentano come se si accorgessero per la prima volta del magnifico spettacolo che hanno davanti. Forse vogliono imprimerselo bene in mente, presentendo l’odore dell’abbandono.
Ammirano tutto il golfo, con Gaeta a destra sullo sfondo e Ischia, in lontananza, sulla sinistra. Ischia non si vede sempre ma oggi sì perché il tempo è bello.
Mentre si godono quello spettacolo sentono un rumore che sta diventando troppo familiare          
Uèh, ‘scotàte, gli sentete?” dà l’allarme Vincenzino.
Sì, eccogli, stanno a’rrivà n’ata vota! Scappamo!” e strascicando la sua gamba rigida, conseguenza della poliomielite, Giuseppe tenta di correre.
Fa chiano ‘ca cari!” gli dice Vincenzino
Ma come chiano, ‘ccà ci’amma sbrigà, scappa puru tu!”
Ma do’ scappamo?” gli chiede Vincenzino che si trova a Minturno per caso.
Lui abita a Pulcherini, un paese distante pochi chilometri, tra le colline, e non sa proprio dove dirigersi per mettersi in salvo.
No’ saccio, ma scappamo lo stesso, levamoce da ‘cca, iamo appresso agli ati!” Giuseppe risponde con il fiatone a Vincenzino, il quale per non lasciarlo da solo è costretto a fare quattro passi avanti e uno indietro.
Un fuggi fuggi generale per trovare un rifugio a casaccio. Chi si va a nascondere sotto l’arco di Via Portella, come se fosse un rifugio, chi rotola lungo “la costa” per allontanarsi dalla piazza. Caterina istintivamente tenta di ripararsi mettendosi un canestro in testa, mentre corre con gli altri.
Per loro fortuna gli aerei vanno oltre Minturno.
Ehi! Fermete, non corre’ chiù, so’ passati diritti.” dice Vincenzino a Giuseppe
Guarda! bombardono verso Formia. Povereglie, me dispiace pe’ issi ma meno male che non se so fermati ‘cca. Vece’, assettamoce ‘ca a me le cosse me tremono.
Cazzo! Giusè’, pure a me, me sto a caca’ sotto pe’ la paura.”
Si siedono sotto un albero, a prendere fiato, e osservando il nuvolone che si leva dalla zona colpita si guardano sgomenti.
Io, dimani, piglio la famiglia e me ne vaco a Cosenza” dice Giuseppe, tormentando una piantina che gli sta vicino.
Pecché proprio a Cosenza?” chiede Vincenzino.
Pecché là ce sta la sore sposata de muglierema e ha scritto ‘ca là è tutto quieto. Semo pazzi a sta ccà. ‘Ccà facemo la fine degli pollasti…” e la piantina viene torta come se fosse il collo di un pollo.
I’ me ne torno agli Purgarini, là è ‘nternato e non ce venno a bombarda’
Tu dici?” chiede Giuseppe alquanto dubbioso sulla validità dell’affermazione dell’amico “ma là ’nce stanno gli sordati tedeschi?”
Sì, ma non fanno niente” assicura Vincenzino “Si non vai a passa’ gliu fronte non te diciono niènte.”
Mah! sarà! Ma i’ non me fido” risponde Giuseppe “specialmente mo’ che semo alleati degli ‘miricani. N’hai sentuto tu chello c’ha ditto Alfonso? I’ vaco a Cosenza!”
Così dicendo si alzano e tornano alla Loggia del Paradiso, poi si spostano su Piazza Portanova, dove, nuovamente, si è radunato tutto il paese.
Il nuovo bombardamento, anche se su un paese vicino, non è sfuggito a nessuno. Ognuno comincia a interrogarsi seriamente sul da farsi, perché restare è troppo rischioso.
Ma non sapemo se bombardono pure a nui n’ata vota!” insiste Gennaro con la sua stramba idea, forse avendo fatte sue le parole della maestra Adelaide.
Ancora co’ sta musica, Gennà! Aspettamo che ce mannono gliu ‘nvito?” Francesco trova anche il coraggio di fare dello spirito.
Cominciano a delinearsi le probabili destinazioni, scegliendo a lume di naso, senza un minimo di consapevolezza su come stanno andando le cose nel resto d’Italia dopo lo sbarco alleato.
I’ vaco a Sud…”
“I’ a Nord, è meglio …”
“I’ no’ me pozzo move da ccà” dice Francesca “pecché adda veni’ Augusto e voglio che ce trova.
Allora ve’ co’ me e Mariangiola agli Purgarini” propone Vincenzino “è vicino e Augusto là te trova. Vè’ pure la famiglia de Vecenzo, gliu scarparo.”
“Anche mia moglie e io veniamo a Pulcherini” dice il dottore “io non posso andare lontano per via dell’ospedale.”
E così scegliendo tra il Sud, il Nord, qualche casolare nelle campagne circostanti e Pulcherini, quasi tutti si rassegnano a fuggire da Minturno e ognuno di loro è convinto di aver fatto la scelta migliore.

 

 

marica riccardelli
via c. colombo 177
04026 m. di minturno (LT)

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