la guerra non è ‘na pazziella

la guerra non è ‘na pazziella

la guerra non è ‘na pazziella

 

19

 

“Mamma’, stai a durmì?” chiede Francesca alla mamma, a notte inoltrata.
“No, Franceschì, non pozzo piglià sonno.”
“Che vo’ succede’ oggi?”
“Chi lo sa! Pregamo a Dio che ci’aiuta a tutti quanti.”
Il pensiero dell’attentato e delle conseguenze che potrà avere, nonché il racconto di Maria Civita fatto prima di andare a dormire, non permettono alle due donne di prendere sonno. Francesca ne approfitta per parlare con la mamma e sfogare tutta la sua amarezza.
“A me, certe vote, sembra che gliu Padreterno ci’ha proprio abbandonati! perdonami Dio mio, ma non ce la faccio cchiù a resiste!”
“No’ iastemà, Franceschì, se ce la vò fa’ a scì da ste bòtte, n’abbandonà mai la fede” così Maria Civita si rivolge alla figlia e la invita a non bestemmiare e a non disperare.
“Parlare è facile, ma non vedi che non si vive più? Ogni minuto che passa è un momento rubato alla morte. Ci siamo talmente abituati alla morte degli altri che ormai non ci fa più impressione. Per strada neanche ci giriamo se sparano qualcuno, anzi di corsa andiamo a nasconderci dentro un portone. Prima almeno i morti li piangevamo e li portavamo al cimitero. Ora mi sento una carogna quando, assistendo a certe disgrazie, mi sorprendo a ringraziare il Signore che non sia toccato a nessuno di noi … e sono anche contenta. Per quanto ancora dobbiamo tirare avanti in questo modo?
“Franceschì, chesta è la guerra! Non è na pazziella, e chello che conta è salvà la pella. Tu tenivi sulo sei misi durante l’ata guerra quanno, dento a ‘n’ anno, me so’ morte marito e figlio” Maria Civita pronuncia queste parole con un nodo alla gola ma subito si riprende. “Io no’ dico che gli ati so stati contenti, anzi se so tutti dispiaciuti quanno so morti patutu e fratutu, ma è toccata a me la disgrazia e me la so’ dovuta tene’. Volevo murì pure io, e non t’annasconno che aggio pure iastemato gliu Pataterno, ma po’ m’aggio dovuto fa’ forza, pecchè tenevo a te. Tu tè due creature, maritutu ancora gliu tè, prega sulu Dio che la guerra finisce lesto e che torna sano e salvo.  Purtroppo chesta è la guerra, si po’ fa lo bene agli ati lo fai, ma prima t’attocca de penzà a te.”
Francesca si sente meno turbata dopo questo ragionamento della mamma, anche se non del tutto serena. Meglio non soffermarsi troppo sui mali della guerra e tirare a campare.
“Se almeno si sapesse quando finisce tutto questo. Ti ricordi quando siamo partite per Pulcherini? Eravamo convinte che lì saremmo state al sicuro e che dopo poco saremmo tornate a casa e invece? Eccoci qua, a Roma. Siamo venute qua perché qui i tedeschi non dovevano esserci e invece? … invece succedono le cose peggiori. Forse sarebbe stato meglio se ce ne fossimo andate al Nord.”
“Sinti Franceschì, io, a Paolo, me so messa scorno de spià, ma che vordi’, de preciso: città aperta? Sento sempe dice che Roma è “città aperta” ma no’ capiscio bono.”
Maria Civita si porta dietro questo interrogativo da quando ha messo piede a Roma. Sente continuamente dire che Roma è città aperta ma non riesce assolutamente ad avere chiaro questo concetto. Cosa può significare una città aperta! Si vergogna di chiedere quando ne sente parlare perché, pur non essendo istruita, non è stupida e intuisce che in quel caso città aperta non ha a che fare con il significato che lei riesce ad attribuire a quell’aggettivo.
“Mamma’ neanche io posso spiegartelo con precisione ma, da quello che sento, significa che c’è stato un accordo, tra gli stati che fanno la guerra, di non bombardare Roma, perché è una città piena di monumenti importanti e poi c’è il Papa. Per questo accordo i militari non dovrebbero esserci, o almeno non dovrebbero essercene tanti e invece è piena di Tedeschi che fanno da padroni, vanno avanti e indietro con i mezzi e sparano alla gente come se fossero uccelli.”
“Gli’aggio visti pure i’ spara’ alla gente pe’ le scemenze” ricorda Maria Civita  “‘nsia mai te mitti a corre’ quanno gli vidi  arriva’. Buum!, na botta e sì morto.”
“E’ proprio per questo che la gente si ribella.”  spiega Francesca alla madre “vogliono vendicarsi e liberare Roma. Tedeschi e fascisti, stanno facendo un vero macello. Non si sa chi sono i peggiori”
“Ah, mo’ sì ch’aggio capito! ma allora fanno bene chigli che mettono le bombe!” con la spiegazione di Francesca, Maria Civita comincia a rendersi conto dei tanti comportamenti assurdi che ha visto.                    
“Aspetta mamma’, non correre! Hanno ragione ad essere arrabbiati, ma non sono sicura che facciano bene a mettere le bombe. Secondo me le cose sono più complicate di come ti ho spiegato io. Se ci pensi, cosa si ricava da queste bombe? Anche se siamo tutti arrabbiati, come la mettiamo con tutta la gente che ammazzeranno domani  per quella bomba?”
“Signore aiuta tutti gli figli de mamma. Quanti sfreggi stanno a succede!” dice Maria Civita
“Tu pensi che i poveracci che moriranno domani, pensano che sia stata una cosa giusta far scoppiare quella bomba contro i Tedeschi?”
“Certo ca no, poveri cristiani!” e Maria Civita accompagna queste parole con il segno della croce “povere mamme, poveri figli che rimanono senza padri, poveri a nui, signore aiutace.”
“E lo sanno tutti che i Tedeschi hanno detto che per ogni morto tedesco, uccidono dieci italiani” continua Francesca come se pensasse ad alta voce. “Ma questi conti non se li fanno prima di far scoppiare le bombe?”
“Sì, se gli fanno, ma ce sta sempre chi tè ati propositi.” risponde, a sorpresa, Maria Civita.
“E tu che ne sai?” chiede Francesca incuriosita nel sentire la madre parlare in quel modo.
“Ieri sera ne steva a parlà chigli’ome degliu quarto piano, abbascio alla portineria” racconta Maria Civita “e i’ me so messa a scotà. Non è che ha ditto assai, però.”
“Non ha detto molto perché la gente ha paura di parlare, sempre perché nessuno si fida di chi ha intorno.”
“Ha raccontato che steva vicino a Via Rasella quanno è scoppata la bomba. Ha fatto giusto ‘ntempo a scappa’ prima che gli tedeschi arrivavano là.”
“E non ha detto altro?” chiede Francesca.
“No, della bomba no, ha ditto che dimani va a vedè. Po’ ha pigliato gliu discorso che gli tedeschi accirono dieci italiani pe’ ogni tedesco morto. Ha ditto pure che se sapeva già che facevano accussì.”
Si fermano, forse a riflettere.
Maria Civita, malgrado la tensione, comincia a cedere al sonno. Anche Francesca sente le palpebre pesanti. Decidono di provare a dormire sapendo di non poter aiutare nessuno.
Non sono le sole a vegliare. Tutta Roma passa la notte senza chiudere occhio e attende il giorno per saperne di più.