la corsa contro il tempo

la corsa contro il tempo

la corsa contro il tempo

Anche quella mattina Mario camminava a passo sostenuto come se fosse in ritardo per l’orario d’ufficio.
Prima di andare in pensione aveva sognato che il suo rapporto con l’orologio si sarebbe interrotto, a cominciare dalla sveglia del mattino. Lo aveva pensato sistematicamente negli ultimi tre anni, quando alle cinque doveva allungare il braccio fuori dal calduccio delle coperte per fermare l’odiata suoneria. Non avrebbe preteso di alzarsi a mezzogiorno ma soltanto potersi svegliare e stiracchiarsi in piena autonomia e sazio di sonno. Invece, eccolo lì, puntuale e di buon’ora, a fare quella passeggiata obbligata per raggiungere una meta dove non lo attendeva nessuno.
Il dottore era stato categorico: “…alla tua età, caro Mario, e con i tuoi problemi di cuore devi fare almeno un’ora di cammino al giorno, a passo svelto, se non vuoi che ti venga un infarto”. Alle parole del dottore aveva reagito con un moto di stizza.
Il suo cuore, che lo aveva fatto tanto soffrire per un grande amore non corrisposto, ora che finalmente sembrava essersi placato, si risvegliava per creargli altri problemi. Non sapeva dire quale dei due mal di cuore gli causasse più dolore. Quello di gioventù gli aveva stroncato l’entusiasmo e dimezzato la voglia di vivere. Ma allora c’era il vigore della giovane età e non si poteva non guardare al futuro. Il novello male, invece, bussava alla porta dello stadio finale della sua esistenza. Non c’era nessun futuro da costruire.
Stava compiendo un passo significativo verso il secondo estremo del segmento, verso l’omega che, sembra, venga posizionato a priori, per delimitare quella infinitesimale porzione di vita terrena che, ad ogni essere vivente, viene assegnata alla nascita. Mario, come tutti gli altri suoi compaesani che si affrettavano su quel lungomare , non sapeva quanto fosse lontano il secondo estremo del suo segmento di vita… e andava a spasso svelto… e correva …e fuggiva.
Ma fuggiva da… o fuggiva verso…? Non lo sapeva e non voleva chiederselo. Fuggiva e basta.
L’unica cosa che gli veniva in mente era che aveva desiderato correre quando non vedeva l’ora di raggiungere la maggiore età, sperando che si sarebbero aperte le porte del tutto facile. Invece, proprio alla fine di quella corsa, erano cominciati i guai: Il suo mal d’amore, un lavoro rimediato, l’accettazione di una routine che con il tempo lo aveva portato a desiderare una forma di libertà dagli impegni che soltanto il pensionamento gli avrebbe potuto dare.
Ora aveva la sua libertà e la consumava tutta a inventarsi la vita nei lunghi pomeriggi invernali passati in solitudine. Leggeva due volte lo stesso giornale, catalogava i suoi libri, quegli stessi libri che tante volte si era ripromesso di leggere quando, una volta pensionato, avrebbe avuto più tempo. Ora aveva troppo tempo ma non più l’interesse per quelle letture.
Gli venivano in mente in maniera ricorrente alcune righe lette anni addietro in “Happy Days” di S. Beckett che recitano: Eh sì, così poco da dire, così poco da fare, e una tale paura, certi giorni, di trovarsi…con delle ore davanti a sé, prima del campanello del sonno, e più niente da dire, più niente da fare, che i giorni passano, certi giorni passano, passano e vanno, senza che si sia detto niente, o quasi, senza che si sia fatto niente, o quasi…
Era proprio così che si sentiva Mario quella mattina, svuotato, sopraffatto dal tempo a disposizione, mentre tentava di frenare la sua corsa verso il traguardo e, paradossalmente, lo faceva correndo.
A farlo sentire così giù di morale contribuiva la recente scomparsa di Giulia, una signora molto aggraziata, con un sorriso dolcissimo, della quale non sapeva assolutamente nulla. Sapeva solo il suo nome. Glielo aveva chiesto una volta, quando incrociandosi come ogni mattina, sempre allo stesso punto, lei aveva messo un piede in fallo, stava per cadere e lui l’aveva sorretta. Da allora avevano preso l’abitudine di fare una breve pausa nel loro percorso, senza neanche sedersi, solo per scambiare un rapido saluto e informarsi della salute reciproca. Comunicavano più con lo sguardo che con le parole e poi ognuno continuava per la sua strada, portandosi dentro il desiderio di un po’ di compagnia.
Sentendo crescere il trasporto per quella donna, Mario aveva deciso di anticipare il suo orario di pochi minuti per potersi incontrare nello stesso senso di marcia e fare insieme il percorso.
Una mattina aveva provato ma senza successo. Pensò di aver sbagliato il calcolo del tempo e fece altri tentativi ma inutilmente. Tornò al vecchio orario ma anche questo senza risultato finché un giorno venne a conoscenza anche del cognome e dell’età di lei da un necrologio affisso su un muro, proprio poco distante dal punto dove si erano incontrati tante volte.
Questi i pensieri di Mario mentre percorreva i chilometri, che il suo cuore gli imponeva, verso una meta dove non lo attendeva nessuno.

 

10 febbraio 2003

Titolo del brano:
Tuo nome:
giudizio: