“glory, glory, alleluja”

“glory, glory, alleluja”

“glory, glory, alleluja”

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In un anno di difficoltà e grossi rischi il destino ha percorso i suoi sentieri decidendo chi mandare all’altro mondo e chi tenere in vita.
Chi è ancora nel mondo dei vivi può raccontare di essere scampato alle bombe, alla fame, al coprifuoco, ai fucili sempre in agguato, alla cattiveria umana.
E’ stato doloroso venire a conoscenza del massacro in Ciociaria ma la guerra non dà il tempo per piangere e tanto meno per la meditazione. Assecondando questa legge di sopravvivenza, il pensiero dei tre abbandona le macerie della linea Gustav, le atrocità perpetrate e va al domani.
Sì, perché il domanì è vicino, mancano poche ore e ognuno di loro lo vede a modo suo.
Paolo pensa che Sara e i ragazzi potranno finalmente tornare a casa e la famiglia si ricomporrà.
Francesca pensa che, finendo la guerra, anche le navi bloccate in Africa torneranno in patria e lei avrà la possibilità di riabbracciare Augusto, sempre che sia ancora in vita. Il cuore le dice di sì.
Maria Civita, non pensa al futuro, va indietro nel tempo, ricorda la fine dell’altra guerra, quella dalla quale il suo Enrico non è tornato mai.
Era tanto giovane ed erano sposati da soli due anni. Di lui conserva il telegramma che annunciava la sua morte e che ha tenuto conservato in una pezzetta di lino, ben custodita in uno scatolino. Nei momenti di più struggente nostalgia, ha aperto lo scatolino, ha svolto la pezzetta, ha riletto quelle tragiche parole e, sospirando, lo ha riposto. Sono venticinque anni che compie questo rito e, ogni volta, una spina in più nel suo cuore. Ovviamente quel telegramma lo ha portato con sé, mai lo ha dimenticato nei vari spostamenti, anche se ha abbandonato lo scatolino, accontentandosi della pezzetta di lino che ripone gelosamente nel suo seno.
Quest’aria di speranza frammista a dolore aleggia su tutta Roma. Sembra che nessuno dica niente e che le notizie non si sappiano ma non è così. Nessuno urla ma tutti sussurrano e le notizie circolano.
Presto, su tutte le altre sensazioni, si fa strada l’entusiasmo e, presto diventa fermento.
Quell’urgenza di libertà, tenuta dentro per mesi, ha già percorso tutto il suo ripido cammino ed è in procinto di esplodere.
La brama di vivere è reale e sentita: la voglia di non contare più i morti per strada, il desiderio di riunirsi in famiglia, intorno a un tavolo sul quale sia realmente qualcosa da mangiare, il bisogno di onorare i propri morti e avere la libertà di piangerli, la volontà di guardare al domani.
Giunge notizia che gli alleati sono ormai alle porte di Roma. Finalmente si può realizzare il sogno di vedere le truppe tedesche che battono in ritirata per sfuggire all’incalzare degli Americani. La gente è pronta a vivere l’evento, annunciato sin dall’armistizio. I più coraggiosi azzardano a non rientrare quella sera, quando scatta l’ora del coprifuoco, e restano per strada ad attendere l’ingresso dei liberatori.
Succede ciò che si aspettava da settembre. Si riaffaccia la speranza alla vita.
Fischiano nell’aria le ultime pallottole, sparate dai Tedeschi che si coprono le spalle durante la ritirata. La gente si nasconde, come sempre, nei portoni. La voglia di gridare il proprio entusiasmo è così grande che, in certi casi, viene dimenticata la prudenza e, in un tripudio di osanna e di gloria per gli Americani che avanzano, c’è chi paga la propria audacia subendo la beffa di un destino crudele che gli ferma l’alleluja in gola.
Poveri morti dell’ultimo minuto! Nessuno ha voglia di piangerli. Tutti hanno fretta di correre a festeggiare i liberatori che sfilano, vittoriosi, per le vie di Roma.
La morte appartiene a chi è stato segnato. Non è poi così tragica quando non ti tocca!
“La guerra è finita!” si grida per tutta Roma
E’ il 4 giugno 1944.  Non ci saranno più bombe, né pallottole vaganti, né la musica assordante di Via Tasso, né gli arresti senza un motivo. Ci saranno ferite da ricucire, tante e molto profonde, bisognerà sgombrare la mente dagli obbrobri e dalle nefandezze, bisognerà ricostruire quanto è stato danneggiato, soprattutto in termini di dignità.
La guerra contro i Tedeschi, da Roma in giù, è proprio finita ma ne comincia un’altra, quella della ricostruzione. Sì, perché chi vive una guerra sa che:
“La guerra in casa è guerra due volte”